Esistono diverse tecniche di meditazione vipassana?
La prima domanda è: “Esistono diverse tecniche di meditazione vipassana? Se sì, utilizzano diversi strumenti per agganciare la mente come mantra, visualizzazioni eccetera eccetera?”.
Ogni tanto quando ricevo delle domande mi rendo conto di avere una doppia risposta, apparentemente opposta.
Offrire tutte e due le risposte mi permette di fornirti un quadro più completo.
Da una parte mi viene da dire che la meditazione vipassana è un’esperienza di visione profonda ed è quella: quasi a dire che non ne esistono altre.
Però è anche vero che si può ottenere con modi leggermente diversi.
In che modo la meditazione Vipassana è unica
Secondo me la vipassana da una parte è una e unica.
La puoi chiamare in modi diversi, perché puoi appiccicare delle etichette alle cose in modo anche diverso. Le esperienze però restano simili o comunque diverse allo stesso tempo perché siamo diversi.
Che cos’è l’esperienza vipassana? È un’esperienza di visione profonda.
Vipassana significa proprio visione profonda. Quando io ho una visione profonda io in qualche modo sono in vipassana.
La tecnica per eccellenza la vipassana secondo me è “La” Meditazione: noi meditiamo per sviluppare consapevolezza.
Qualcuno ogni tanto per meditazione intende anche ragionare. Chi medita da un po’ però sa che la meditazione ci porta distanti dal ragionare.
Tendenzialmente cerchiamo di non farci agganciare dai ragionamenti in meditazione.
Allora che cos’è questa vipassana? Come si fa?
All’inizio ci si ancora un pochino di più al presente e si usa un’altra tecnica meditativa che si accompagna alla vipassana.
In questo caso però si chiama Samatha ed è più di un’unica tecnica: sono tecniche che ci servono ad ancorarci all’adesso.
Per esempio: usare un respiro, seguire il respiro. Lo si fa ancora adesso.
Con la vipassana cosa facciamo? Andiamo un pochino oltre l’ancoraggio.
All’inizio ci richiamiamo, ci ritroviamo, ci concentriamo.
Non c’è uno sforzo di concentrazione inteso in modo intellettuale, è più un richiamo alla presenza.
Ci ritroviamo e, quando ci siamo ritrovati, cominciamo a indagare. Osserviamo tutto quello che sperimentiamo.
Ecco, questa è la meditazione vipassana.
Questa è la meditazione di visione profonda per eccellenza.
Oserei dire che è la meditazione di consapevolezza per eccellenza perché: che cosa facciamo?
Se nella samatha osserviamo per esempio il respiro e quindi abbiamo un oggetto di osservazione, osserviamo il respiro. Il respiro quindi diventa oggetto di osservazione.
In vipassana tutto ciò che stiamo sperimentando diventa motivo di osservazione.
Ecco perché dico che è la consapevolezza della consapevolezza, un esercizio alla consapevolezza.
Non “solo” alla presenza.
Mentre samatha mi richiama alla presenza, a essere presente, la vipassana mi permette di sviluppare più consapevolezza.
Proprio per questi motivi la ritengo la meditazione delle meditazioni.
La puoi chiamare vipassana, la puoi chiamare Vipaśyanā come la chiamano i tibetani.
Vipassana è una parola in lingua pali, l’antica lingua parlata dal Buddha.
Vipaśyanā invece è in sanscrito, più usato nelle traduzioni maya successive a quella degli antichi che fa riferimento al buddismo theravada.
Secondo me quindi da una parte c’è solo questo modo di raggiungere la presenza, cioè essere presenti.
Questa è la vera tecnica: essere presenti e osservare.
Osservare, osservare e osservare. Osservare tutto quello che sperimentiamo.
Questo secondo me è vipassana.
Non c’è un altro modo. Anzi: da una parte c’è e può essere chiamato in modi diversi.
e.. se invece ci fossero altri modi di fare la meditazione vipassana?
Da un’altra invece posso raccontare cosa mi è successo per esperienza diretta.
Ho avuto diversi maestri. Uno di questi era di cultura tibetana, di buddismo tibetano.
Agevolava soprattutto una meditazione fatta di visualizzazioni. Si visualizzava un Buddha di un colore, poi di un altro, poi un altro ancora.
Ci visualizzavamo che diventavamo di un certo colore e ciascun colore aveva una simbologia. Poi, a un certo punto, si emetteva un suono, un mantra.
Verso la fine della meditazione succedeva una cosa bellissima. Poteva anche solo sembrare al fine della meditazione.
Facevamo tutto ciò a occhi chiusi e alla fine della meditazione ci diceva “Apri gli occhi alla tua vera natura”. Secondo me era il momento clou della meditazione.
Dopo tutta quella serie di stimoli e suggestioni a un certo punto apri gli occhi alla tua vera natura: è un momento di intensa visione, di intensa presenza e anche di intensa connessione con l’esterno.
Connessione con cosa? Con quello che c’è.
Ora immagina la mia sorpresa nel ricevere un giorno una registrazione, un cd da parte del mio maestro.
Il mio maestro non era originariamente di tradizione tibetana ma della tradizione degli antichi, tipica della vipassana, la tradizione theravada.
Di quella tradizione lui è stato monaco per 18 anni. Ha aperto e fondato un monastero qui in Italia, a Santacittarama, proprio di questa tradizione degli antichi.
Poi si è smonacato ed ha studiato altre forme di buddismo, quindi anche quella tibetana.
Ricevo questo CD con sopra scritto “Vipassana”. A proposito di etichette…
C’era scritto sopra “meditazione Vipassana”.
La metto.. e.. incredibilmente era quasi la stessa identica meditazione che io facevo con l’altro maestro tibetano.
Però si chiamava “vipassana”.
All’inizio non capivo. Mi chiedevo: ma perché l’ha chiamata vipassana?
Un maestro di vipassana, uno che mi ha insegnato per anni e anni a fare la vipassana in un modo, perché mi dà un cd con su scritto Vipassana ed è tutt’altra tecnica?
Ebbene, alla fine della meditazione ritrovo una frase simile a quella a cui ero stato abituato dall’altro insegnante tibetano.
Aprire gli occhi alla mia vera natura.
Aprire gli occhi alla mia vera realtà delle cose così come sono.
Questa è la visione profonda!
Infatti in vipassana noi stiamo con quello che c’è.
Questa è la consapevolezza: stare con quello che c’è.
E questa è visione profonda.
Quindi come vedi da una parte secondo me c’è una meditazione per eccellenza in presenza, che puoi chiamare in tanti modi, ma è una.
Dall’altra in realtà si potrebbe arrivare a questo stato di consapevolezza in altri modi, effettivamente.
Io continuo a pensare che la meditazione vipassana più tradizionale sia il modo migliore.
Si tratta di una questione soggettiva.
Penso di aver risposto anche alla seconda parte della domanda, quando si chiedeva “Se sì, utilizzano diversi strumenti per agganciare la mente come mantra, visualizzazioni eccetera eccetera?”.
Sì, evidentemente sì.
C’è chi ritiene che non sia quella vipassana e sia più tradizionalista.
Io capisco tutte e due le posizioni e le condivido entrambe.
Preferisco il modo più tradizionale di fare la vipassana ma benché secondo me l’altro modo non sia propriamente vipassana comunque ottiene lo stesso risultato di visione profonda e quindi di vipassana.
E stiamo parlando della fase di vipassana vera e propria, perchè e ovvio che se parlassimo della sola Samatha, ovvero della fase di ancoraggio, ci possiamo ancorare normalmente a diversi oggetti di contemplazione e questo lo do per scontato (se vuoi saperne di piu clicca su: meditazione vipassana e interazioni con samatha)