Vipassana è una parola in lingua Pali e significa di “visione profonda”.

Benché la Vipassana faccia riferimento alla Meditazione Samatha si differenzia da questa pratica meditativa proprio per la sua capacità di andare oltre la semplice calma mentale, che è uno stato di assorbimento spesso di natura astrattivo.

In meditazione Vipassana gli oggetti di osservazione non sono semplici ancoraggi della mente (come ad esempio possono esserlo un mantra od il respiro): ma tutto il nostro vissuto esperienziale.

Osservando cosa ci accade, momento per momento a livello del corpo come della mente.

Non è una forma di isolamento dagli stimoli offerti dall’ambiente e dal nostro interno, ma una esplorazione degli stessi.

Questo permette di sviluppare una profonda consapevolezza di noi e del nostro vissuto e anche a favorire quelli che la moderna psicologia definisce: “Insight”.

Gli “Insight” sono dei lampi di comprensione: delle improvvise “illuminazioni” che ci permettono di trovare soluzioni ad un problema ad esempio (famosa l’espressione inglese “aha! Experience” o Eureka).

Gli insight fanno emergere alla luce degli aspetti di noi stessi altrimenti segregati nel buio del nostro inconscio, per rendere più comprensibile un nostro comportamento rispetto ad una determinata circostanza.

Vipassana -non a caso chiamata anche “insight meditation”- quindi, ci permette di spaziare e andare in profondità, mentre Samatha si limita ad ancorare la mente e a legarla ad un oggetto di osservazione specifico (come ad esempio il respiro).

Tuttavia il legame tra le due tecniche, quando si pratica la Vipassana, è molto stretto.

Si ricorre allo stato di assorbimento -ovvero alla calma offerta dalla Samatha- sia all’inizio di ogni singola meditazione Vipassana, sia quando ci si accorge che la mente si è persa per ritrovare una nuova dimensione di calma.

Quindi benché si possa fare una meditazione Samatha senza necessariamente entrare in Vipassana, non si può fare Vipassana senza appoggiarsi, almeno per un attimo, a una tecnica di meditazione Samatha.

Un esempio classico di Meditazione Samatha è la meditazione sul respiro, detta “Anapanasati” (parola sempre della lingua pali e significa consapevolezza dell’inspirazione e dell’espirazione).

In pratica, se scegliessimo di ancorare la mente (fase Samatha) attraverso il respiro, potremmo -una volta raggiunto un certo stato di assorbimento e pace mentale (detto Samadhi da cui Samatha)- cominciare ad esplorare passando alla fase di meditazione Vipassana vera e propria in cui ci apriamo a tutto il campo delle esperienze che viviamo in quella fase momento per momento.

In questa fase persino il pensiero -altrimenti “distraente”- può essere preso come oggetto di osservazione essendo propria della vipassana l’osservazione e la consapevolezza dell’intero campo del nostro vissuto incluso “il pensare”.

Nel Satipatthanasutta (il discorso sui fondamentali di consapevolezza) l’uomo passato alla storia come “il Buddha” chiamato Siddartha Gautama Sakyamuni insegna proprio a contemplare: il corpo, le sensazioni, la mente e gli oggetti mentali.

La Vipassana, infatti è una tecnica meditativa risalente al Buddha storico.

I monaci della tradizione buddista Theravada cercano di portare avanti gli insegnamenti fatti di tecniche, Sutra (discorsi) e precetti (indicazioni sullo stile di vita) in modo da preservare il più fedelmente possibile gli originali insegnamenti del Buddha storico.

Iva inclusa la vipassana e i Sutra (detti Sutta in pali) nella lingua con cui si sono tramandati per secoli: il pali appunto.

La meditazione Vipassana, in quanto tecnica meditativa, può essere fatta in modo laico senza bisogno di aderire ad alcuna religione e senza necessariamente seguire alcun precetto o insegnamento religioso.

 

 

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