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Samatha-Vipassana: Quando il respiro ti limita
Giuseppe domanda:
Mi risulta difficile osservare il respiro, se tento di osservare il respiro è come se non riuscissi a lasciarmi andare. Quindi devo osservare il respiro o lasciarmi andare?
E poi aggiunge:
Quando faccio meditazione e osservo il respiro è come se reprimessi i pensieri. La base principale della vipassana è osservare il respiro o lasciare andare? Devo lasciarmi andare o osservare il respiro?
L’ancoraggio e la Trappola della mente discorsiva
Ciao Giuseppe, da una parte hai senz’altro ragione: osservare il respiro ti lega ed in quanto “legame” non ti lascia libero di fluire.
Dall’altra parte è un “legame fondamentale”: se lasciassimo vagare la mente non staremmo più meditando.
Alla fine di questo articolo sono convinto che tutto ti sarà più chiaro, stranamente il mio invito è comunque di riportare l’attenzione al respiro benchè “limitante”.
si esatto: ti sto dicendo che ti limita e ti sto invitando a usarlo comunque!
Perché? Perché spesso la “mente discorsiva” fa pressione perché tu ti perda nel labirinto dei pensieri e senza neanche accorgerti, ad esempio ti ritrovi, mentre mediti, con un pensiero del tipo: “ma sto meditando bene o male?” “perché mi sento limitato?” “A me questo respiro, non mi convince molto” eccetera eccetera..
Pensieri della mente discorsiva che subdolamente si infilano mentre stai meditando (tutto normale comunque)
Tranquillo ci sarà spazio anche per allentare il laccio che ti lega al respiro, ma non vorrei che lo abbandonassi di fretta..
.. perché osservare il respiro (o il corpo in generale) è il nostro più potente alleato sia in una fase di centratura, di raccoglimento (Samatha) sia nella fase di esplorazione della realtà “così come è” (Vipassana)
Il respiro è come il filo di Arianna che ci conduce fuori dal labirinto dei pensieri compulsivi
Il Respiro Amico
Il respiro è un ottimo ancoraggio al presente: il migliore.
Noi viviamo solo nel presente ma la mente discorsiva ci spinge ad avere mille pensieri riguardanti il futuro (paura, ansia, eccitazione e Pre-occupazioni) o verso il passato.
E così ci perdiamo l’unico momento in cui viviamo realmente: il presente. Passiamo gran parte della nostra vita distratti, come zombie addormentati.
Ma quando la nostra mente viene orientata al respiro (o al corpo in generale) noi torniamo ad osservare cosa succede in noi nel “qui ed ora”: siamo di nuovo vivi!
Un attimo prima eravamo zombie addormentati, ma nell’attimo in cui siamo consapevoli che stiamo respirando: in quel momento siamo vivi!
Siamo nel presente! Siamo svegli e consapevoli di cosa stiamo vivendo nell’adesso.
Quando siamo nel presente possiamo occuparci di qualsiasi cosa e smettiamo di “PRE-occuparci”
Quindi l’ancoraggio, un legame con il presente è utilissimo per non perderci: per ritrovare noi stessi, per ricentrarci.
Il mio maestro dice spesso: “il respiro è un fedele compagno di viaggio, un fedele amico che ti accompagna dal primo fino all’ultimo respiro: puoi fare affidamento al respiro.”
Il Respiro nella meditazione Samatha
Ecco perché viene usato speso come Samatha, come meditazione di richiamo al presente, come pratica concentrativa, anche se concordo con chi non ama molto il termine “concentrazione” perché suggerisce uno sforzo: direi piuttosto che è una fase di raccoglimento.
La meditazione Samatha è infatti una tecnica di ricentratura: in cui ritroviamo noi stessi anziché lasciarci in balia di mille pensieri quelle che io tecnicamente (lo ripeto è un tecnicismo non volermene 😊 ) chiamo “pippe mentali”.
CErto puoi usare anche il corpo anzichè il respiro, oppure se hai difficoltà in questo momento puoi usare per un periodo solo l’ancoraggio al corpo ad esempio il body-scan (clicca qui per sapere come fare la meditazione body-scan). Ma appena puoi torna a farti amico il respiro..
L’Anapanasati (in lingua Pali Ana-Pana-Sati Sati=consapevolezza, Ana-Pana= ispirazione-espirazione) ovvero la meditazione di consapevolezza sul respiro è la migliore tra tutte le Samatha:
proprio perché il respiro è sempre lì disponibile anche quando siamo in preda alla depressione, alla collera:
il respiro è lì e richiamarsi al suo fluire è un attimo: il suo fluire ricorda proprio un filo esile, un filo d’oro..
il famoso “filo d’Arianna” o “filo d’oro” come recita la sigla di una serie di documentari di matrice spirituale della TV svizzera intitolata proprio: “il filo d’oro”
ecco cosa dice la sigla (che puoi vedere qui su youtube: sigla filo d’oro)
“fin dai tempi più antichi il filo d’oro è il simbolo di un sapere che nasce dall’esperienza personale, è che è libero dai condizionamenti istituzionali.
è un filo perché rappresenta la continuità di una esperienza sempre antica e sempre nuova;
ed è esile perché in ogni generazione questa consapevolezza viene mantenuta da una minoranza di individui”
Come vedi si parla di “Esperienza personale”, “consapevolezza”, parole che per chi pratica Samatha-Vipassana hanno senso eccome!
Ma torniamo a Samatha, e alla nostra Anapanasati, il nostro respiro..
Ebbene in questa tecnica usiamo il respiro come ancoraggio tenendo il filo dell’ancora un poco “stretto”, ovvero, appena ci accorgiamo di esserci dispersi, ritroviamo subito il nostro respiro, riportiamo assai velocemente la nostra attenzione al respiro.
È vincolante? Si, forse un poco sì, ma la pratica è un po’ diversa dalla teoria: perché quando inizio a meditare mi siedo e sto ancora preso dalle cose mondane di cui mi stavo occupando (o “pre-occupando”) e quindi necessito di un un richiamo “stretto” alla presenza.
Ma mano a mano che mi sono centrato e proseguo in meditazione questo ancoraggio si fa morbido, il respiro fluisce tranquillo e libero, e talvolta fa da base ad uno stato di profondo assorbimento.
Spesso spontaneamente si passa ad una fase in cui il ritmo del respiro fa da sfondo da “Metronomo” al concentro delle esperienze che ci emergono da quello stato:
il respiro è sempre lì e ne siamo consapevoli, ma il nostro campo percettivo potrebbe ampliarsi e quindi siamo aperti a qualsiasi esperienza.
Questa è già una fase di meditazione tipica della meditazione Vipassana, una fase esplorativa libera da legami, ma i confini tra le due tecniche non sono coì marcati e definiti.
Il Respiro nella meditazione Vipassana
Io sono tra coloro che sostengono che “non esiste” Vipassana senza Samatha:
la Vipassana non ha legami e permette di fare emergere qualsiasi cosa stiamo sperimentando nel qui ed ora quindi non ha il respiro come unico oggetto da contemplare.
Tuttavia per riflettere le “cose così come sono” io devo potere avere una mente limpida e serena: Se non ho fatto Samatha in una prima fase, non ci riesco.
Un lago riflette il mondo circostante “così come è” solo se le acque della sua superfice sono calme, altrimenti ciò che riflette è solo una deformazione della realtà.
Quindi prima calmo le acque e poi osservo le cose così come sono e cosa succede ogni qual volta mi rendo conto di essermi disperso?
Torno al respiro, torno a Samatha: esatto anche in vipassana!
Vipassana è la tecnica che prediligo la faccio più di qualsiasi altra. Anche perché anche a me non piace rimanere legato ad un oggetto di osservazione unico, mi piace osservare tutto quello che mi succede e plaudo al tuo desiderio di spaziare di più.
Ma succede, e succede più spesso di quanto vorremmo immaginare, che certe volte la mente vaghi tantisimo e quindi tantissimo mi ancorerò al respiro.
Può succedere che mi siedo per fare vipassana e mi scopro che alla fine sono riuscito solo a fare Samatha, perché ho dovuto fare appello “all’amico respiro” in continuazione: altrimenti ero nella distrazione.. ed infine mi sono accorto che l’85% della mia meditazione era in preda alle distrazioni ed un 15% era di attenzione al respiro.
E sai cosa? Va bene così: è quello che c’era nel “qui ed ora”, agitazione! Ok sono consapevole di essere agitato!
Quindi cosa facciamo in Vipassana?
Cominciamo a porre attenzione al respiro, prima tenendo le briglie del respiro assai strette (non sto parlando di respiri corti quelli lasciali fluire normalmente), ovvero torno al respiro con una certa determinazione: siamo nella prima fase della vipassana che altro non è che Samatha.
Poi allento il legame: spesso avviene spontaneamente, ma posso anche dirmi “ok, adesso mi sono ritrovato e ci sono, esploro per un po’ in giro, consapevole che il respiro è sempre qui e posso tornarci in ogni istante avessi bisogno di ritrovarmi”
E quindi esplori, ma l’esplorazione ci rende più soggetti alla distrazione e quindi, appena ci rendiamo conto di esserci distratti torniamo al respiro.
Magari, dal momento in cui ci siamo resi conto che eravamo distratti, possiamo indagare un po’ di più su come ci faceva stare quel pensiero, ad esempio le sensazioni le emozioni che l’accompagnavano, prima di tornare al respiro.
In fase di vipassana non c’è fretta di tornare al respiro, ma è un ottimo amico a cui fare riferimento: una ciambella di salvataggio.
Il maestro del mio maestro Aj Sumedho diceva del respiro e della meditazione in generale che è la “Fire Exit” quando tutto brucia “intorno a te”, ovvero è l’uscita di salvataggio quando siamo in balia delle fiamme.
O come diceva il mio maestro Aj Thanavaro: “il Respiro è un amico fidato: possiamo farci riferimento”
Il respiro non è un obbligo a cui vincolarsi e a cui rimanere legati strettamente, ma è un caro amico a cui fare sempre riferimento che possiamo stringere forte, quando ne abbiamo bisogno, possiamo camminarci mano nella mano consapevoli della sua presenza, o lasciarlo stare un po’ nello sfondo, sapendo che comunque è una nostra preziosa risorsa, felici di sapere che c’è.
E chiudo che le parole di Thich Nhat Hanh: “respira sei vivo”